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Un buon italiano è il miglior biglietto da visita

By 14 Giugno 2016Giugno 28th, 2019Senza categoria

Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, con semplicità e con l’aiuto di molti esempi, ci guidano nell’uso corretto degli accenti e della punteggiatura, ci incoraggiano a utilizzare parole nuove o poco frequenti, smascherano l’inutilità di cattivi modelli molto diffusi…
Che cosa vuol dire, oggi, esprimersi in buon italiano?
Significa, a nostro avviso, saper fare quattro cose: nel parlato, adattare il tono della lingua alla situazione; nello scritto, non trascurare gli aspetti formali; in entrambi, dominare le regole essenziali della grammatica e combinare le parole e le frasi in modo corretto. Così, abbiamo diviso il libro in quattro parti: «Un discorso in perfetta forma», «Uno scritto in perfetta forma», «Grammatica minima» e «Collegare le parole». A queste abbiamo poi aggiunto una quinta parte, «Italiano da evitare», dedicata a cinque cattivi modelli di italiano da cui tenersi prudentemente lontani, se ci si vuole esprimere bene: il burocratese, l’aziendalese, lo scolastichese, l’itanglese o itangliano, il digitalese.
Con questi suggerimenti vogliamo incoraggiare l’uso di una buona lingua italiana. Una lingua viva, ricca, aperta, ma non succube delle mode per snobismo provinciale o per imitazione di modelli considerati più prestigiosi.
Dedichiamo questo libro ai nostri lettori di ieri e di oggi, che qui cercheranno la risposta alle cose che ancora non sanno o la conferma di quelle che già conoscono ma di cui non sono sicuri.

Qualche esempio tratto da Senza neanche un errore.

  • Capita spesso di sentire frasi come «Cos’è successo?» «Niente, c’è stato un incendio.» – «Ci dica la sua opinione al riguardo» «Ma… Niente. Sono in totale disaccordo con il mio collega.»

Come, niente? Un incendio e un’opinione personale non sono niente? Evidentemente, in simili casi niente è usata come riempitivo vuoto, privo di qualunque significato. Allora, quando cominciate un discorso, non apritelo con la parole niente. Eviterete di non dire niente.

  • Professioni al femminile. Avvocata, sindaca, ministra, magistrata: termini linguisticamente impeccabili, che indicano professioni o cariche un tempo riservate agli uomini. Come comportarsi? I nomi che terminano in –o, al femminile terminano in –a (deputato > deputata); per i nomi terminanti in –ore, il femminile esce in –trice (ispettore > ispettrice); i nomi che terminano in –e possono essere volti in –a (cancelliere > cancelliera); alcuni nomi in –e valgono sia per il maschile che per il femminile (il giudice > la giudice; il vigile > la vigile; il presidente > la presidente).
  • Plurale delle parole straniere. Quando una parola straniera si diffonde così largamente da entrare a far parte della lingua comune deve essere trattata come una parola italiana: dunque la s finale (che non esiste nella nostra lingua) non deve essere aggiunta. Quindi dobbiamo dire o scrivere i big, non i bigs, i killer, non i killers. Per le parole spagnole, invece, si mantiene la s del plurale originario: i murales, le tortillas. Attenzione, però, a non lasciare la s nel singolare: il mural, la tortilla.

Valeria Della Valle ha insegnato Linguistica italiana all’università La Sapienza di Roma e ha diretto la terza edizione del Vocabolario Treccani dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
Giuseppe Patota è professore di Storia della lingua italiana all’università di Siena-Arezzo. È stato direttore scientifico del Grande Dizionario Italiano Garzanti.
Entrambi sono divulgatori molto apprezzati, veterani delle rubriche radiofoniche e televisive riguardanti la nostra lingua.

Leggi qui un estratto del libro.
Se questo argomento ti ha incuriosito, leggi anche Viva la grammatica!