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Come parlare di guerra ai bambini? Ascolto, parole e strumenti emotivi

By 13 Ottobre 2025Attualità
Come parlare di guerra ai bambini Ascolto, parole e strumenti emotivi

Parlare di guerra con bambini e ragazzi non è solo possibile: oggi è necessario. Il contesto attuale (in cui le notizie di conflitti entrano ogni giorno nelle nostre case, nelle conversazioni degli adulti e negli spazi educativi) sollecita domande, paure, immaginari. Anche quando non ne parlano esplicitamente, bambini e adolescenti percepiscono tensioni, frammenti di discorsi, stati emotivi. Il silenzio degli adulti non protegge: amplifica l’angoscia e lascia spazio alla fantasia, che può diventare più spaventosa della realtà.

9791223400425 Marchetti Silvia Nina e la gemma della rabbia

Come affrontare allora un tema così complesso, con linguaggi e strumenti adeguati alle diverse età? Come trasformare lo smarrimento in dialogo, comprensione, educazione emotiva? Ne abbiamo parlato con Silvia Marchetti, pedagogista ed esperta di educazione emotiva, autrice di Nina e la gemma della rabbia (Fabbri), che ha condiviso strategie concrete per parlare di guerra (e soprattutto di pace) con bambini e ragazzi dai 3 ai 16 anni, a casa e a scuola: “L’obiettivo non è spiegare tutto, ma stare accanto: ascoltare, rassicurare senza negare, offrire un immaginario che contenga e trasformi la paura”.

“Due squadre che non vanno d’accordo”

Le parole da usare dipendono molto dall’età. Con i più piccoli, spiega Marchetti, è bene evitare termini tecnici o troppo duri: “Stati, conflitti, bombe, kamikaze: sono concetti che i bambini piccoli non possono comprendere. È meglio usare immagini semplici: due squadre o due popoli che litigano e non vanno d’accordo, ma che cercano una soluzione”.

Soprattutto sotto i sei anni è importante rassicurare senza esporre a immagini crude: “Le fotografie di bambini feriti o di case distrutte possono destabilizzare e lasciare un segno indelebile. L’adulto può spiegare a parole cosa sta accadendo, ma sempre accompagnando il racconto con la vicinanza emotiva”.

La scuola primaria: pace, solidarietà, giustizia

Dai 6 ai 10 anni i bambini hanno più strumenti cognitivi ed emotivi per affrontare un discorso strutturato. Si possono introdurre concetti come violenza, pace, solidarietà, giustizia.
“Con i bambini della primaria possiamo rispondere alle domande con più dettaglio, dare esempi concreti e stimolare riflessioni sul senso della pace e sull’aiuto reciproco”, spiega Marchetti. L’adulto deve accompagnare, senza saturare di informazioni, e calibrando sempre in base alla sensibilità del bambino.

Adolescenti: spazio al dibattito

Con ragazzi delle medie e delle superiori il discorso si fa più complesso. Qui si può parlare di diritti umani, genocidi, rifugiati, aiuti umanitari, stimolando il dibattito e invitando i ragazzi a costruire opinioni personali.

“Gli adolescenti hanno bisogno di parole vere, di essere coinvolti in una riflessione critica. Possiamo proporre letture, film, articoli, e soprattutto ascoltare i loro punti di vista, accogliendo anche le emozioni più dure: rabbia, paura, confusione”.

Quando i bambini hanno paura: segnali da non ignorare

Come capire se un bambino sta vivendo ansia o preoccupazione per le notizie che ha sentito sulla guerra? I segnali sono spesso somatici, continua a spiegare Marchetti: difficoltà ad addormentarsi, risvegli notturni, enuresi, mal di pancia, inappetenza. Oppure comportamentali: scoppi di rabbia o pianto, nervosismo, rifiuto della scuola.
“Se questi segnali durano più giorni, è bene interrogarsi e aprire un dialogo. Anche solo chiedere: cosa ti preoccupa? Hai visto o sentito qualcosa? È il primo passo per dare nome alle emozioni”.

Non sminuire, non negare

Un rischio frequente è quello di rassicurare negando: “Non ti preoccupare, qui non succederà mai”, oppure “Non è niente”.
Così facendo creiamo distanza. Il bambino resta solo con la sua paura. È invece fondamentale verbalizzare: capisco che hai paura, è normale che queste cose facciano paura. Accogliere e dare dignità alle emozioni è la base della sicurezza emotiva“.

Dare un ruolo attivo ai bambini

Accanto al dialogo, è importante offrire un ruolo attivo, per contrastare il senso di impotenza.
Un bambino può appendere una bandiera della pace alla finestra, disegnare, scrivere lettere, fare progetti con la classe. Piccoli gesti quotidiani di gentilezza e solidarietà lo aiutano a sentirsi parte di un cambiamento. Non è spettatore passivo, ma portatore di pace nel suo mondo“.

Educare alla pace significa anche esplorare simboli, leggere libri insieme, guardare film, creare momenti collettivi di riflessione: “Con i bambini piccoli aspettiamo i segnali, non imponiamo discorsi. Ma con i più grandi è importante prenderci la responsabilità di affrontare questi temi: se non lo facciamo noi, troveranno risposte altrove, spesso distorte.”

Parlare di guerra non è semplice per nessun adulto. Ma il silenzio, ci dice Marchetti, non protegge: alimenta l’angoscia. Il compito di insegnanti, genitori ed educatori è aprire spazi di parola e di ascolto, dosando il linguaggio in base all’età, accogliendo le emozioni, offrendo strumenti per comprendere e trasformare la paura: “Se impariamo a riconoscere e dare voce alle nostre emozioni, a condividere le paure e a trasformare la rabbia in impegno e gesti di pace, i bambini e i ragazzi possono trovare il loro modo di portare la pace“.