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Un Classico ha sempre qualcosa da dire…

By 4 Novembre 2013Luglio 24th, 2019Senza categoria

Ampia è l’accezione del termine “Classico” col quale, comunemente, indichiamo tutto ciò che assurge a modello: per le sue caratteristiche di eccellenza, perfezione e permanenza nel tempo. In ambito letterario sul significato di “Classico” si sono alternate, nel tempo, teorie molteplici, che hanno fornito canoni di volta in volta ispirati a principi stilistici diversi.
Nel suo Perchè leggere i classici (Oscar Mondadori, Milano, 1991) Italo Calvino faceva rientrare tra i modelli gli autori dei quali si dice: “Sto rileggendo” e non “Sto leggendo”. È sua la definizione: “I Classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.”
Nel libro “I classici, una metafora sociale e militare” (in Le utopie della lettura, a cura di Ernesto Ferrero, Torino, Fiera del Libro 1999), Giuseppe Pontiggia sostiene che leggiamo un Classico “per la bellezza e l’importanza di quello che ci dice”, e soggiunge: “I Classici continuano a esprimere valori in cui possiamo riconoscerci”.
Il fondamentale requisito richiesto ad un testo senza tempo è il connubio tra eccellenza della forma e ricchezza del contenuto.
Un Classico, diceva Calvino sempre in Perchè leggere i classici, è un libro “che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”, ma anche un’opera “che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé”.

Quali sono, dunque, i Classici della letteratura per l’infanzia? Esiste un canone a cui riferirsi?

Antonio Faeti, in Perché leggere i Classici per bambini (2002), ci offre un elenco di opere di letteratura per l’infanzia che include: Piccole donne, Peter Pan, L’ape Maja, Alice nel paese delle meraviglie, Le avventure di Pinocchio, Sussi e Biribissi, Cuore, Il vento nei salici, Kim, Il viaggio meraviglioso di Nils Holgersson, La storia del dottor Dolittle, Senza famiglia, I ragazzi della via Paal, La guerra dei bottoni, Pel di carota, Il piccolo principe, I misteri della jungla nera, Heidi, L’isola del tesoro, Mary Poppins, Il giornalino di Gian Burrasca, Ciuffettino.
Secondo Faeti, questi sono Classici perchè si riferiscono al Mito e i loro protagonisti sono diventati delle icone: Peter Pan evoca la paura di crescere, Heidi rappresenta l’ecologia, Alice allude alla fuga dalle coercizioni, Sandokan è il ribelle e, infine, Pinocchio ci parla di possibili metamorfosi che possono riscattare.
Ma anche il canone può aver bisogno di periodici aggiornamenti: aggiungerei, quindi, all’elenco Pippi Calzelunghe della Lindgren, Bibi, una bambina del Nord, di Karin Michaëlis, le opere di Dickens, Manzi e Rodari.
Pensando alla contemporaneità, invece, citerei Donatella Ziliotto, Roberto Piumini, Bianca Pitzorno e Beatrice Masini.
Per quanto riguarda gli stranieri, poi, sono forse da includere nell’elenco Philip Ridley, Aidan Chambers, Andrew Clements ed Henriette Bichonnier.
E, per finire, tra i “narratori iconici” nominerei Leo Lionni, Maurice Sendak, Bruno Munari e Roberto Innocenti.
Alcuni nomi citati ci fanno capire che un autore “classico” non è necessariamente “già esistito”.

Sempre tra le righe di Perchè leggere i classici Italo Calvino afferma: “Credo di non aver bisogno di giustificarmi se uso il termine ‘Classico’ senza fare distinzioni d’antichità, di stile, d’autorità.”
Inoltre, ognuno di noi ha personalissimi “Classici”, legati a preferenze soggettive che rispondono a scelte di tipo estetico o letterario; si può prediligere una storia per la sua trama, per il genere in cui rientra, o per i dialoghi che contiene; o, magari, la si può amare perchè ci si trova in empatia o, al contrario, in contrapposizione, con ciò che il suo autore ci racconta.
È ancora Calvino che ci dice: “Il ‘tuo’ Classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto, e magari in contrasto, con lui.”
In proposito, nel libro “La letteratura in pericolo” (Garzanti, Milano, 2008), Tzvetan Todorov ci ammonisce: “Meno questi personaggi sono simili a noi e più ci allargano l’orizzonte, arricchendo così il nostro universo. (…) I romanzi non ci forniscono una nuova forma di sapere, ma una nuova capacità di comunicare con esseri diversi da noi. (…) L’orizzonte ultimo di tale esperienza non è la verità, ma l’amore, forma suprema del rapporto umano.”